Partire e girare le principali città e zone d’interesse artistico e culturale europee come parte essenziale dell’educazione giovanile. Se oggi è diventato un fenomeno di massa – grazie anche all’aiuto di offerte last minute, linee low-cost, campeggi super economici e b&b – il turismo una volta era appannaggio solo di aristocratici, artisti e intellettuali. Una élite formata in particolare da giovani. Il Grand Tour – dizione adottata per la prima volta in trascrizione francese, nel 1670, da Richard Lassels nel suo Voyage or a Compleat Journey Trough Italy – era il viaggio d’istruzione, intrapreso dai rampolli delle case aristocratiche di tutta Europa, che aveva come fine la formazione del giovane gentiluomo.
L’itinerario, particolarmente lungo e ampio con partenza e arrivo nello stesso luogo, comprendeva un giro che poteva attraversare anche i paesi continentali ma che aveva come obiettivo primario e irrinunciabile l’Italia. Le origini del Tour si possono far risalire al XVI secolo ma trovano il suo apice nel tardo XVII e XVIII. Inizialmente effettuato solo dai giovani dell’aristocrazia britannica, l’uso di un viaggio di istruzione si estese presto a francesi, già al tempo di Luigi XIII e del Re Sole, e poi a fiamminghi, olandesi, tedeschi, svedesi, russi e ancora altri provenienti da ogni Paese d’Europa.
Italia, meta per molti
L’Italia era sicuramente la meta più gettonata e attesa, luogo dove giovani artisti, aristocratici e uomini di stato potevano venire a toccare con mano i resti della cultura classica. L’itinerario di un viaggiatore poteva iniziare con lo sbarco a Genova – giungendo via mare da Marsiglia o Nizza – o con l’arrivo a Torino, seguendo la via di terra e attraversando il Moncenisio, il più frequentato tra i possibili ingressi in Italia. Altri accessi potevano essere il passo del S. Bernardo o del Sempione. La città di partenza determinava il successivo percorso, attraverso la costa o l’interno. Prima tappa importante era Firenze, da dove si passava o sostava con l’intento di arrivare a Roma, luogo in cui ci si fermava più a lungo. La partenza dalla madrepatria era, infatti, spesso progettata nel mese di settembre, così da poter giungere nella città eterna in concomitanza del Natale, festa religiosa molto affascinante per i suoi riti, trattenendovisi fino a Pasqua o per la festa di San Pietro e Paolo, celebre per i fuochi di artificio che si sparavano da Castel Sant’Angelo (una tradizione ancora oggi in uso). Tra le feste pasquali e la fine di giugno si collocava l’escursione a Napoli e dintorni. Il viaggio si concludeva quindi in Campania, programmando il rientro con una sosta a Loreto e poi, attraverso Ferrara e Padova, la tappa a Venezia, consigliata nel mese di febbraio per godere delle feste per il carnevale. Prima di uscire dall’Italia ancora Vicenza e visita a Verona, per passare poi il “confine” attraverso la Francia, la Svizzera o l’Austria.
Chi vi prendeva parte
La schiera dei grandtourists fu fitta ed eterogenea. La percentuale più cospicua si individua però tra i giovani di età compresa fra i sedici e i ventidue anni, spesso accompagnati da tutors più grandi e con un’esperienza adeguata a percorrere le strade italiane. Nel XIX secolo gli eredi delle nobili casate aristocratiche vedono ben presto affiancarsi i meno blasonati ma spesso più facoltosi figli della classe borghese in ascesa che, proprio attraverso il viaggio d’istruzione, nobilitava le sue patenti culturali. Fondamentale era il carattere di apprendimento legato al Tour, tanto che in Inghilterra la Corona finanziava i viaggiatori, a fronte di una richiesta debitamente motivata, con 300 sterline annue.
Valigia & Co.
Cosa potare con sé? Le scelte erano diverse e – quale che fosse l’idea del lungo soggiorno fuori casa, allettante o inquietante a seconda dell’indole – i viaggiatori dovevano essere previdenti. Molto ricca è l’iconografia, soprattutto satirica, dedicata ai mezzi di trasporto, alle condizioni e agli inconvenienti del giro: nei musei di diverse città italiane si conservano etichette di alberghi, biglietti di presentazione, pubblicità di compagnie private di trasporto e altri reperti di un settore brulicante d’iniziative da cui gli italiani, nelle zone interessate, traevano interessanti profitti. Tante sono anche le testimonianze e i racconti di questo percorso formativo itinerante, perché ogni europeo riviveva la propria esperienza componendo un proprio Diary, Journal o Tagebuch. Tra i più noti il Viaggio in Italia (in tedesco Italienische Reise), scritto tra il 1813 e 1817 da Goethe. Una “guida turistica” di tutto rispetto.