La moda post lockdown: come vanno le cose?

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moda post lockdown

Come se la passa il mondo della moda post lockdown e in questa fase evolutiva della pandemia? La risposta a questa domanda ci arriva dal Rapporto Euler Hermes, società del Gruppo Allianz e leader mondiale dell’assicurazione crediti, che ha realizzato, in collaborazione con l’Istituto di ricerca Format Research, un’indagine sulle imprese manifatturiere del settore “moda”.

Produrre e vendere non è mai facile e quello che abbiamo vissuto (e che continuiamo a vivere) da due anni a questa parte, non semplifica le cose. Le chiusure degli esercizi commerciali, i lockdown prolungati, il rallentamento delle filiere di fornitura globali, ma anche la ridotta propensione all’acquisto degli italiani, sono stati i fattori alla base di questa tendenza che ha tolto ossigeno alla catena di fornitura italiana, dall’ingrosso al dettaglio.

I dati dello studio

Secondo lo studio il 51% delle imprese sono, infatti, state colpite dalla pandemia, per l’8% ha avuto effetti “devastanti”, mentre, per il 31% le conseguenze sono state minime.Nel percorso di ripresa che le aziende stanno tentando, il 77% di esse sembra essere oggi ancora lontano dai livelli pre-pandemia in termini di performance e livello dei ricavi, e solo il 24% dichiara di avere recuperato i livelli di fatturato e performance pre-Covid.

Secondo i bilanci del 2020, raccolti dalla Banca Dati di Euler Hermes, il ciclo di conversione delle vendite ha richiesto 13 giorni in più rispetto al 2019, passando da una media di 97 a una media di 110 giorni.
Un aumento dei tempi legato principalmente all’incremento dei giorni medi di incasso dei crediti commerciali (DSO), passati da 76 a 82 giorni, e all’aumento dei giorni di rotazione del magazzino (DIO), che invece sono passati da 87 a 96 giorni.

I mancati incassi hanno di conseguenza aumentato il fabbisogno di Capitale Circolante, quantificato su scala nazionale tra i 400 e i 500 milioni di euro, che tuttavia sono stati in parte coperti dalle misure messe in campo tanto dal Governo quanto dalle istituzioni finanziarie, essenziali per preservare il tessuto produttivo e imprenditoriale italiano.

Cosa succede ora

La ripartenza c’è, non si può negare e i dati sono incontrovertibili, ma sarà sufficiente? Quando le cose torneranno ad andare come prima che questo terribile virus ci sconvolgesse la vita? Rispetto a luglio 2020, il valore delle vendite al dettaglio è cresciuto su tutti i canali distributivi. Gli aumenti maggiori hanno riguardato abbigliamento e pellicceria (+15,4%) e il settore delle calzature, articoli in cuoio e da viaggio (+12,0%). Dopo il contraccolpo del 2020, il 2021 è stato l’anno della ripartenza anche per la Moda. Nei primi sette mesi il settore ha seguito il trend generale, crescendo in termini di fatturato del 22,2% contro il +27,2% messo a segno dal settore manifatturiero rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
L’export del settore, che rappresenta il 10,4% del totale nazionale, è cresciuto nello stesso periodo del 22,1% grazie all’exploit della pelletteria (+25,5%), con differenze poco marcate tra mercati Ue ed extra Ue. In forte calo, invece, l’import di prodotti tessili (-33,1%) soprattutto da Regno Unito, Usa, Svizzera e Cina (-76,1%).

Una grande mano al mondo della moda arriva certamente dalla possibilità i tornare a organizzare eventi e soprattutto sfilate in presenza. A livello nazionale si ampliano i progetti dei poli produttivi incentrati sul fashion luxury e la diversificazione delle maison in altri settori, come la ristorazione. In crescita anche il riciclo e i progetti di sostenibilità dell’impatto ambientale – specie nel fast fashion – nell’ottica della compensazione delle emissioni di CO2, anche se la moda circolare ha ancora ampissimi margini di miglioramento. In tutto questo, la forza lavoro qualifica è un fattore che contribuirà in modo sostanziale: negli ultimi cinque anni il 76% delle società attive nel settore ha avuto la necessità di dotarsi di forza lavoro qualificata, mentre Il 47% ha avuto difficoltà nella ricerca del personale di cui aveva bisogno.
Queste difficoltà sono risultate più accentuate presso le imprese di dimensioni minori (10-49 addetti), presso le imprese dell’abbigliamento e presso quelle operative nelle regioni del Nord-Est e del Sud. Le figure qualificate per cui le imprese hanno trovato maggiori difficoltà nel reperimento sono state quelle dei sarti, dei conduttori di macchine utensili e dei confezionatori.

E in Italia cosa avverrà per la produzione?

In questo momento il 13% delle imprese produce sia in Italia che all’estero. Tra le imprese che producono anche all’estero, il 40% ha avviato politiche di diversificazione dei processi produttivi mentre il 60% continuerà a produrre all’estero come sta già facendo. All’interno del 40% che sta valutando un cambio delle strategie produttive, il 4% ha già deciso di riportare tutta la produzione in Italia entro i prossimi due anni, il 6% ha deciso che sposterà la produzione in paesi più vicini all’Italia, mentre il 30% circa ha deciso che comunque sposterà le proprie attività produttive dai siti attuali all’estero, anche se deve ancora definire i dettagli delle proprie politiche in tal senso.