Si dice che per fare qualunque mestiere ci voglia passione. Le più grandi storie di passione portano a grandi risultati. Ma la passione può non bastare. Tipo, per diventare uno chef. O meglio, per diventare uno Chef con la C maiuscola. In questo caso serve anche altro. “Ci vuole la voglia. Mai in cucina senza la voglia di cucinare. Se manca, è meglio una pizza”. A Nicola Delfino la voglia di cucinare lo ha preso quando era ancora un ragazzino e da allora non l’ha più mollato.
Genovese, trapiantato a Roma: ha iniziato come lavapiatti per mantenersi nei suoi soggiorni all’estero. Ha osservato, guardato mangiato con gli occhi tutto ciò che facevano i “capi della cucina”, gli chef. Nel frattempo, si spacciava per chi ancora non era: uno chef di un grande albergo, assunto per cucinare la colazione al mattino. La sera, invece, tornava ad essere un lavapiatti e continuava ad osservare. Il suo maestro? “Il primo chef che ho incontrato in vita mia. Mia nonna”.
Una passione autentica
Con le sue compagne di vita, passione e voglia di cucinare, Delfino ci è praticamente nato: “Potrebbe anche essere una diretta conseguenza del fatto che, a casa mia si mangiava male. Mai far mangiare male un bambino, il meglio che gli possa capitare è che un giorno diventi un uomo di cucina. Ho fatto altro nella vita, ho fatto tante cose, ma non ho mai smesso di cucinare. Poi, un amico mi informa che un vecchietto si vende un localino, una tavola calda. Lì il colpo di testa: mollo tutto e apro Benito”. Siamo nel 2011. Benito al Ghetto era un luogo storico di Roma, un riferimento per gli appassionati della cucina romanesca autentica. Una vera sfida portarlo avanti trasformandolo in qualcosa di nuovo. Un luogo d’incontro tra tradizione, ricerca ed eleganza. Una sfida oggi stravinta su tutti i fronti. “Tanta incoscienza, tanti debiti ma tanto entusiasmo. Lavoravo al ristorante di giorno e studiavo di notte, i risultati sono arrivati presto, prestissimo”.
Il grande passo
Poi, arriva un altro sogno da seguire. “Dopo 6 anni l’incontro con il proprietario di “Al fresco”, il locale dei sogni, il ristorante che ho sempre desiderato avere, non ce lo siamo neanche chiesti, in meno di 2 mesi ho chiuso con Benito e comprato parte di Al fresco. E si ricomincia… nuovi stimoli, nuova gente nuova sfida. Ho sempre preso le decisioni importanti nello stesso modo con il quale cucino: con la pancia, mai con la testa”. Al Fresco nasce a Milano, in zona Tortona, dalle ceneri di un vecchio edificio industriale e viene trasformato in un rifugio bello, accogliente, un angolo verde pieno di luce naturale, un po’ serra, un po’ bistrot all’italiana, un po’ atelier d’artista. E il menù rispecchia lo Chef Delfino che, sottolinea, non ama cucinare ciò che non ama mangiare: “Non amo il sale, non sopporto la ripetitività, cambio menu in continuazione, mai le alte temperature con i grassi. Cura maniacale dei dettagli, dal fornitore che deve avere una storia da raccontare alla persona che porta in tavola, deve essere innamorato lui per primo di cosa sta servendo”. I piatti maggiormente richiesti sono, a pari merito, la cacio e pepe e l’insalata di tonno rosso.
Un ristorante social
Il trucco è trovare la formula magica, ripetere l’alchimia di “Benito” a Milano. La giusta cucina con la giusta atmosfera. La passione dello Chef Delfino è il pesce: “Mi piace comprarlo, sceglierlo, decidere cosa farci e portarlo a tavola”. Mentre il piatto al quale è particolarmente affezionato è: “Lo stinchetto di maialino cotto 36 ore. Ha dentro tutto: terra, sole, mare”. Nicola Delfino è anche un maestro. #IOLOFACCIOALFRESCO è il nuovo corso di cucina del ristorante. “Pazienza, voglia di imparare e dedizione al lavoro di cucina sono elementi essenziali per uno chef. Tutti questi talent culinari, a mio avviso, offrono un’idea sbagliata di cosa sia la cucina, la vera cucina. Forse è per questo che io poi vado bene. Chi mangia da me, torna ad aver voglia di cucinare davvero”. Al fresco è un ristorante social. Nel senso che non è un posto dove si mangia e basta. Lo spirito è quello del luogo d’incontro per i giovani di tutte le età; è un bistrot per gli amanti della vera cucina; un rifugio dal caos cittadino, pur rimanendo in città; è una merenda con le amiche o un pranzo in famiglia. Uno stile di “cibo” unico nel suo genere. Un po’ come lo chef Delfino. Che quando gli chiedi come descriverebbe la sua cucina in due parole, ti risponde: “La mia cucina è furba: compro il meglio, lo lavoro il meno possibile per non rovinarlo e lo porto a tavola. Sembro bravissimo”. E che non vuoi andarci a mangiare da uno così?
Tratto da Lusso Style di Aprile 2017